Alcuni microrganismi costituiscono una seria minaccia per la salute. Il sistema immunitario ci difende, ma disponiamo anche di potenti alleati che ne completano l’opera: i vaccini.
Un tema attualissimo, da approfondire per scoprire cosa sono, come funzionano e perché talvolta destano preoccupazione.
Perché abbiamo bisogno dei vaccini?
Virus, batteri, funghi e molti altri ancora: nel corso della vita tutti entriamo in contatto con centinaia di specie di microrganismi. Alcune sono innocue, altre coesistono con noi senza grandi problemi. Altre ancora possono persino rivelarsi utili al nostro organismo. Esistono però alcuni microrganismi in grado di causare disturbi e malattie nell’uomo e che per questo vengono chiamati patogeni.
Entrare in contatto con un microrganismo è un evento davvero comune. Il nostro corpo, però, ha una linea di difesa chiamata sistema immunitario: questa protezione è così efficiente che nella maggior parte dei casi (e per la maggior parte dei microrganismi) non ci accorgiamo nemmeno dell’incontro.
Purtroppo non sempre è così facile. Alcuni patogeni sono in grado di infettarci, causando malattie che possono andare dal comune raffreddore fino ad altre molto più gravi. E anche nei casi in cui il nostro corpo riesce a “sconfiggere” la malattia, possono comunque rimanere conseguenze dovute all’infezione – a volte temporanee, a volte permanenti.
Ecco perché i vaccini rappresentano una difesa straordinaria. L’idea di base è semplice: “istruire” il sistema immunitario prima che arrivi l’infezione, insegnare al nostro corpo come affrontare un patogeno senza però subire le conseguenze negative della malattia. Questo avviene sfruttando una delle “abilità” più importanti delle cellule immunitarie: quella di mantenere la “memoria immunologica” di un patogeno già visto, così da essere rapidi ed efficienti nell’eliminarlo in caso lo si incontri di nuovo, impedendo che si sviluppi la malattia.
Per questo motivo i vaccini rappresentano uno straordinario strumento di prevenzione: riducono o abbattono il rischio di contrarre una specifica malattia e ci mettono al riparo dalle sue conseguenze più gravi. Inoltre, in certe condizioni, i vaccini possono proteggere anche chi ci sta vicino: diminuire il numero di ammalati vuol dire limitare la circolazione di un patogeno, riducendo la probabilità di contagiare gli altri. Una difesa “solidale”, in grado di proteggere chi è più fragile.
Com’è fatto un vaccino?
Come farmaci e cure mediche, anche i vaccini si sono evoluti nel tempo. I primi vaccini sono stati creati utilizzando piccole quantità di patogeni inattivati oppure attenuati. Nel primo caso, grazie a processi chimici o fisici, un patogeno viene ucciso: non può generare malattia, ma è ancora in grado di stimolare il sistema immunitario. Nei vaccini attenuati, invece, il patogeno viene modificato (tecnicamente “mutato”), indebolito e reso incapace di provocare malattia, pur stimolando il sistema immunitario.
I vaccini recenti, invece, contengono solo componenti del microrganismo invece del microrganismo intero. Ad esempio, i vaccini a subunità sono composti da antigeni purificati, cioè “pezzi” (proteine, lipidi o altre molecole) ricavati da un microrganismo o dalle sue tossine. Questi frammenti garantiscono lo sviluppo di immunità, anche se per migliorare l’efficienza della vaccinazione vengono usate sostanze adiuvanti che stimolano maggiormente il sistema immunitario. Altri vaccini usano la tecnica del DNA ricombinante: le proteine immunogeniche (che stimolano il sistema immunitario) non provengono dal patogeno, ma sono prodotte in grande quantità in laboratorio.
Infine, i vaccini più recenti non prevedono di somministrare una proteina del patogeno “già fatta”, bensì le istruzioni affinché sia il corpo stesso a produrla: è questo il caso dei vaccini a DNA e a RNA. Questi due acidi nucleici racchiudono al loro interno le informazioni genetiche per produrre una proteina virale o batterica, e possono essere trasportati nel corpo grazie a un vettore virale (un virus reso innocuo che funziona come veicolo). Nei vaccini più innovativi si fornisce direttamente l’RNA veicolandolo in una particella di grasso, così che possa entrare nelle cellule del corpo e far produrre la proteina del patogeno. In ogni caso, il sistema immunitario riconosce la proteina “estranea” e impara ad attaccarla.
Qualunque sia la tipologia, l’obiettivo di un vaccino è sempre lo stesso: insegnare al sistema immunitario come difendersi da uno specifico patogeno prima di incontrarlo. La durata della protezione vaccinale dipende dal singolo vaccino e da quanto è “bravo” a stimolare la risposta immunitaria e la memoria immunologica. Per questo motivo per alcuni vaccini sono necessari più richiami anche a distanza di anni.
Conosci le tue difese: il sistema immunitario
Il nostro organismo è in grado di combattere i patogeni grazie a un sistema di difesa altamente specializzato, il sistema immunitario, composto da cellule e molecole diverse. Questo sistema si divide in due grandi “gruppi”: immunità innata e immunità adattativa.
L’immunità innata è la prima linea di difesa che si attiva non appena l’organismo entra in contatto con un patogeno. È una risposta rapida ma non specifica: infatti usa le stesse armi per ogni tipo di invasore. Quando l’immunità innata si attiva aumentano gonfiore, rossore e dolore nella zona interessata, ad esempio una ferita; a volte sale anche la febbre, uno stratagemma che serve a disturbare i patogeni responsabili dell’infezione. Questi eventi, per quanto fastidiosi, permettono al corpo di segnalare la presenza di un microrganismo esterno e prepararsi pienamente per fronteggiarlo.
L’immunità adattativa è la seconda linea di difesa, più lenta ad attivarsi ma specifica, perché costruisce armi “su misura” contro ogni tipo di patogeno, gli anticorpi specifici. Se il nostro corpo non è mai entrato in contatto con un agente infettivo, il sistema immunitario adattativo può impiegare diversi giorni prima di essere pienamente efficace. Le cellule più importanti di questo meccanismo sono i linfociti e possiedono specifiche “antenne” in grado di captare e riconoscere uno specifico patogeno (o parte di esso). Nel nostro organismo ci sono milioni di linfociti tutti diversi: alcuni si attivano quando riconoscono un agente infettivo, mentre altri grazie alle cellule dell’immunità innata, che per prime segnalano un’invasione. Si può dire che le due linee difensive giochino insieme!
Quando un’infezione viene debellata la maggior parte dei linfociti muore, ma una piccola parte rimane nel sangue conservando la “memoria” dell’infezione. Le cellule della memoria sono fondamentali: nel caso si incontri nuovamente quel patogeno, cominceranno a duplicarsi e a produrre anticorpi specifici, ma in modo molto più veloce rispetto alla prima volta. Così rapidamente che non ci ammaleremo e non ci accorgeremo neppure di avere incontrato (ancora) quel microrganismo! Questo è proprio il meccanismo che sfruttiamo con la vaccinazione: “addestrare” in anticipo i linfociti e stimolare la memoria immunitaria senza sviluppare la malattia, per esser pronti in caso di incontro col vero agente patogeno.
Vaccini ed esitazione vaccinale: perché? PT-1
La realizzazione di una campagna vaccinale (che può durare diversi anni e spesso continuare nel tempo) presenta diverse sfide di carattere logistico, organizzativo e comunicativo.
Un aspetto importante riguarda il numero di vaccinati, o copertura vaccinale. Il vaccino ideale, come molti che abbiamo già a disposizione, è in grado di fornire immunità sterile – cioè prevenire la malattia e anche l’infezione: in questo modo, il vaccinato non sarà contagioso. Questo è importante dal punto di vista della sanità pubblica perché vaccinare un numero sufficientemente alto di persone consente di raggiungere la cosiddetta immunità di gruppo, cioè una “soglia” al di sopra della quale il patogeno smette di circolare in tutta la popolazione. Così si proteggono i più fragili (come chi soffre di malattie del sistema immunitario e patologie croniche, quali alcuni tumori) che per motivi di salute non possono vaccinarsi.
Non tutto però è così semplice.
Un aspetto cruciale da considerare riguarda la cosiddetta “esitazione vaccinale”, ovvero la riluttanza, i dubbi o il rifiuto vero e proprio a sottoporsi a vaccinazione da una parte della popolazione. Un problema così rilevante che l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha inserito la “vaccine hesitancy” tra le minacce alla salute globale per il 2019.
Anche in Italia il fenomeno è presente. Esistono infatti alcune migliaia persone che rifiutano categoricamente le vaccinazioni sia per sé che per i propri figli (che vengono definiti comunemente “no-vax”). Dati alla mano, tuttavia, chi sostiene posizioni così estreme rappresenta una minoranza rispetto al totale della popolazione. È però altrettanto importante ricordare che ultimi decenni – in tutta Europa – sono cresciuti gli “hesitant”, cioè persone che non prendono posizioni dure e inamovibili, ma che comunque hanno mantengono dubbi sulla vaccinazione.
Alcuni contestano l’obbligo vaccinale vista come imposizione dello Stato sulla libertà individuale, altri hanno dubbi sulla sicurezza di somministrare contemporaneamente di troppi vaccini tutti insieme, come si fa nei primi mesi di vita. Altri ancora aderiscono al “calendario vaccinale” in modo incompleto, magari effettuando alcune vaccinazioni ma non le altre, oppure non presentandosi ai richiami.
Vuoi conoscere i motivi legati all’esitazione vaccinale? Scopri di più leggendo la PT-2.
Vaccini ed esitazione vaccinale: perché? PT-2
I motivi dell’esitazione vaccinale sono diversi e riguardano soprattutto aspetti legati alla psicologia e a alle proprie esperienze personali. Come molte ricerche sociali suggeriscono, la “mancanza di conoscenze scientifiche” o l’ignoranza non sono quasi mai un fattore determinante per rifiutare un vaccino. Spesso, anzi, gli “hesitant” hanno un elevato grado di istruzione e risultano molto informati sul tema, anche se spesso con informazioni parziali, fuorvianti o errate.
Alcuni motivazioni possono riguardare la sfera religiosa, o quella socioculturale, come la sfiducia verso le case farmaceutiche produttrici dei vaccini. In qualche caso, la riluttanza si può attribuire a vere e proprie teorie del complotto. Anche i media generalisti possono contribuire all’opinione sui vaccini, così come siti internet non istituzionali o associazioni esplicitamente contrarie alle vaccinazioni. Altre motivazioni possono essere di natura logistica e organizzativa: i centri vaccinali, talvolta, hanno difficoltà a gestire il carico complessivo delle vaccinazioni per tutti gli utenti; gli appuntamenti rinviati vengono posticipati troppo in là nel tempo, oppure in orario lavorativo (difficile da conciliare per chi lavora), e così alcuni richiami possono andare persi e il calendario vaccinale risultare incompleto.
Non dimentichiamo poi, l’alterata percezione del rischio di molte malattie, ora quasi scomparse proprio grazie ai vaccini: nella nostra memoria “collettiva” non viene più avvertita la loro pericolosità. I vaccini, di contro, sono percepiti come portatori di effetti collaterali e come un rischio non necessario. Si tratta in realtà di un “bias cognitivo”, cioè un pregiudizio insito nel modo con cui il nostro pensiero analizza la realtà, che non ci permette di confrontare razionalmente l’entità dei diversi rischi.
Non ultime per importanza, alcune motivazioni possono rientrare in una più ampia mancanza di fiducia verso le istituzioni. Questo aspetto può apparire banale, ma spesso la diffidenza verso chi gestisce le attività pubbliche può incidere sulla scelta di accettare una vaccinazione. Nella “costruzione” di fiducia è importante “chi” parla dei vaccini. In Italia pediatri e medici di base sono la principale fonte informativa: tra quelli che rifiutano parzialmente, totalmente o ritardano le vaccinazioni, molti dichiarano di aver ricevuto informazioni confuse (o non averne ricevuto affatto) in merito agli effetti avversi dei vaccini proprio da parte di queste figure di riferimento. Questo può portare gli esitanti a cercare informazioni tramite il passaparola, su siti internet con informazioni non verificate o addirittura dichiaratamente anti-vax.
Vaccini: produzione e sicurezza
I vaccini sono in tutto e per tutto dei farmaci, anche se il loro scopo non è curare una malattia infettiva o i suoi sintomi ma prevenirne l’insorgenza. Per questo motivo, come ogni farmaco, sono sottoposti a precise tappe di sviluppo e sperimentazione prima di essere immessi sul mercato.
Il primo passo sono i test preclinici effettuati su colture cellulari in laboratorio e poi su animali modello, per valutare l’efficacia dei preparati vaccinali; i più promettenti possono passare agli studi clinici nell’uomo, in 4 fasi:
- Fase 1: effettuata su pochi volontari, si osservano i primi effetti collaterali comuni; si comincia a valutare la “dose” migliore per il vaccino. In questa fase, l’obiettivo è garantire prima di tutto che non siano pericolosi per la salute.
- Fase 2: più volontari (centinaia o poche migliaia) vengono seguiti per mesi, studiando la risposta del sistema immunitario e la dose efficace di vaccino per stimolare immunità. Si continuano a registrare gli effetti collaterali più comuni.
- Fase 3: i volontari sono numerosi (qualche decina di migliaia), si valuta l’efficacia del vaccino nel proteggere dalla malattia rispetto ai non vaccinati. Inoltre, studiando una popolazione così ampia, si possono rilevare eventuali effetti collaterali rari non emersi in precedenza.
- Fase 4: il vaccino è in commercio, ma la sorveglianza (farmacovigilanza) non si ferma: si continuano a registrare dati di efficacia (ad esempio quanto dura la protezione nel tempo) e gli eventuali eventi avversi gravi, ma molto rari – come le trombosi, che capitano nell’ordine del milione di somministrazioni – che nelle precedenti fasi di sperimentazione, effettuate su numeri più piccoli, potrebbero non essere emersi.
Come per ogni farmaco, queste informazioni sono fondamentali per stabilire il “profilo di sicurezza”, ovvero il rapporto tra rischi della vaccinazione (possibili effetti collaterali) e benefici (cioè evitare la malattia con le sue conseguenze). Considerando le categorie di persone a cui un vaccino verrà somministrato (età, genere, malattie pregresse, etc.) il rapporto rischi benefici deve sempre essere vantaggioso, altrimenti il vaccino non sarà approvato per la commercializzazione.
Proprio perché vengono somministrati a persone sane per impedire una futura malattia, i vaccini hanno in generale profili di sicurezza elevati: molto più alti di tanti farmaci, anche di uso comune, che possono presentare effetti collaterali (anche gravi) in frequenza decisamente superiore.
I dati sperimentali del vaccino vengono analizzati dall’autorità responsabile della sicurezza dei farmaci: l’EMA (European Medicines Agency) decide se approvarlo, mentre le autorità nazionali, come l’AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco), scelgono a quali categorie raccomandarlo (o sconsigliarlo).
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